KHUMBU

 

Lungo la catena himalayana, là dove l'Everest sembra quasi voglia nascondersi al mondo, lì è la terra chiamata Khumbu. La terra degli Sherpa, "la gente dell'est" di origine mongola qui stabilitasi alcuni secoli fa. Il Khumbu è sinonimo di terre alte: oltre al vertice del mondo altri famosi ottomila, numerosi settemila, tante cime minori e valichi che vanno ben oltre i 5000; e con queste caratteristiche non poteva non diventare luogo calamitante per alpinisti ed escursionisti.

 

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L'inizio è nel villaggio di Lukla (Nepal) dove, a 2800 metri, Hillary fece costruire un piccolo aeroporto in salita che ha come limiti il vuoto ad una estremità e la montagna nell'altra.

Qui inizia "l'autostrada per l'Everest" che non è certo una strada (nel Khumbu non ne esistono) ma il super frequentato sentiero che in 5-6 giorni di cammino raggiunge il cuore della regione

 

 

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Centinaia di occidentali con i loro piccoli o grandi zaini, centinaia di portatori, yak e muli tutti stracarichi di scatole, sacche, bombole, bottiglie, pentolame, tende, tavolacci e chissà cos'altro. Tutti sparpagliati lungo questo sentiero che con infiniti up and down, tra muri mani, rocce incise di mantra, stupa, villaggi, torrenti, ponti sospesi porta sempre più su verso quel luogo-mito che è l'Everest Base Camp. A Jorsale l'ingresso ufficiale nel Sagarmatha (nome nepalese dell'Everest) National Park; a 3400 metri Namche Bazar, il villaggio principale della regione disposto come un anfiteatro; a 3900 l'ultimo monastero; oltre si dirada la presenza umana, la vegetazione rimpicciolisce sino a scomparire e si entra in quel deserto d'alta quota fatto di terra, sassi e rocce dove l'aria oltre ad essere rarefatta è anche talmente secca da inaridire dolorosamentre gola e bocca e dove la stanchezza può colpire all'improvviso come un vestito di piombo che irrigidisce le tue gambe.

 

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Ci sono tanti altri prima e dopo di te, ma sei anche solo quando sei immerso in panorami grandiosi, quando calpesti ghiacciai famosi, quando scollini ripetutamente sulle interminabili morene, quando raggiungi lassù le colorate prayer flags che sventolano incessantemente nella gelida aria dell'alta quota, quando monti giganteschi sono così vicini da essere illusoriamente a portata di mano. Non è lunga la salita al Kala Pathar, il belvedere sull'Everest, ma sicuramente faticosa (un magggior acclimatamento sarebbe stato utile); i passi si susseguono lenti, i polmoni cercano l'aria che non c'è, il cuore pulsa con frenesia e quando raggiungi quelle rocce scure sommerse da bandierine a quasi 5600 metri la stanchezza e il freddo intorpidiscono anche i pensieri. Ci vuole qualche minuto prima di realizzare che sei lì dove ogni escursionista vorrebbe arrivare e prima di riuscire ad ammirare quello che si ha di fronte, di lato e dietro: il tormentato ghiacciaio del khumbu che riempie la valle, una corona di imponenti montagne bianche e, davanti ma in secondo piano, il Monte più famoso, scuro come un Calimero tra candide lenzuola.

 


 

 

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